IV.

V.

Pochi giorni dopo, Virginia e il suo innamorato dai capelli ricciuti si recarono a fare una passeggiata a cavallo nei prati di Brockley, e Virginia si produsse nel saltare una siepe un tale strappo alla sua Amazzone, che, rientrando in casa, pensò di prendere la scala posteriore per non essere veduta.

Mentre passava correndo davanti alla camera delle tappezzerie, la cui porta era aperta, credette vedervi qualcuno e, persuasa che fosse la cameriera di sua madre, la quale era solita ritirarsi ivi a lavorare, si arrestò per pregarla di raccomodare il suo abito; ma, con grande sorpresa, si avvide di trovarsi invece davanti al fantasma di Canterville in persona.

Stava questi seduto presso la finestra a contemplare gli alberi che ingiallivano e le foglie arrossate, svolazzanti nel grande viale.

Aveva la testa appoggiata alla mano, e tutto il suo atteggiamento rivelava una profonda desolazione.

Il poveretto era così abbattuto, così demolito, che la piccola Virginia, anzichè cedere ad un istintivo sentimento di paura e correre a chiudersi nella sua camera, fu presa da compassione e volle provarsi a consolarlo. Si avvicinò a lui in punta di piedi, così lievemente, che egli sprofondato nella sua tristezza, non si accorse della sua presenza se non quando la fanciulla gli volse la parola.

— Sono addolorata per voi, — disse; — ma i miei fratelli torneranno domani a Eton; se dunque vi condurrete bene, nessuno vi tormenterà più.

— È assurdo domandare di condurmi bene, — rispose il fantasma, guardando con aria stupita la fanciulla che aveva avuto il coraggio di rivolgergli la parola. — È assolutamente assurdo, bisogna che scuota le mie catene, che grugnisca dai buchi delle serrature, che cammini la notte, che faccia tutto ciò che voi chiamate condursi male.... È l'unica mia ragione di essere.

— Non è affatto una buona ragione di essere; e siete stato ben cattivo, sapete! Mistress Umney ci ha detto, lo stesso giorno del nostro arrivo, che avete ucciso vostra moglie.

— Sì, ne convengo, — rispose storditamente il fantasma, — ma fu un affare di famiglia e non riguarda che me.

— È sempre un delitto ammazzare una persona, — sentenziò Virginia che prendeva alle volte una graziosa piccola aria di gravità puritana, ereditata certo da qualche avo venuto dalla Nuova Inghilterra.

— Oh, io non posso soffrire la moralità a parole.... Mia moglie era molto brutta, non stirava mai convenientemente i miei polsini e non s'intendeva affatto di cucina. Ascoltate: un giorno avevo ucciso un magnifico cervo maschio di due anni nei boschi di Hogley; non indovinereste mai come lo cucinò!.... Ma lasciamo questo tema: è affare finito, ormai, e trovo che non fu giusto da parte dei suoi fratelli farmi morire di fame perchè l'avevo uccisa.

— Farvi morire di fame?... Oh! Signor fantasma.... signor Simone, volevo dire, avreste per caso ancora fame? Ho un sandwich nel mio cestino.... vi piace?

— No, grazie, ora non mangio più; ma è molto gentile da parte vostra l'offerta. Voi siete più cortese di tutti gli altri della vostra famiglia, ch'è volgare, rozza, disonesta....

— Basta! — gridò Virginia battendo il piede. — Siete voi ora rozzo, villano e volgare! quanto a disonestà, voi sapete bene di aver rubato i colori della mia scatola per rifare quella ridicola macchia di sangue nella biblioteca. Avete cominciato col prendermi tutti i rossi, compreso il vermiglione, di modo che mi è impossibile ora dipingere i tramonti. Poi avete preso il verde smeraldo e il giallo; infine non mi è restato altro che l'indaco e il bianco di Cina. Non ho potuto più dipingere che chiari di luna, i quali fanno sempre pietà a vederli e sono difficili a dipingersi. Non ho mai detto nulla contro di voi, benchè sia stata molto seccata e tutto questo per una cosa ridicola. Si è mai visto del sangue verde smeraldo?

— Vediamo, — disse il fantasma molto cortesemente, — come potevo io fare? È difficile al giorno d'oggi procurarsi del vero sangue, e poichè vostro fratello adoperava lo smacchiatore incomparabile, non vedo perchè non avrei dovuto impiegare i vostri colori per resistere a quello. Quanto alla tinta, è questione di gusto: così i Canterville, per esempio, sono del sangue più turchino che vi sia in Inghilterra.... Ma so che voialtri americani non tenete conto di queste cose....

— Che ne sapete voi? quello che potete fare di meglio ormai è di emigrare: ciò vi formerà lo spirito.

Mio padre sarà ben contento di farvi dare un biglietto gratuito e, benchè vi siano dei diritti di dazio molto alti per tutti gli spiriti, non vi saranno fatte difficoltà alla dogana; tutti gli impiegati sono democratici. Giunto a New York, voi potreste avere un grande successo: conosco molta gente che darebbe centomila dollari per avere un avo e che darebbe assai di più per avere un fantasma in famiglia.

— Io, invece, sono persuaso, che non mi troverei bene in America.

— Forse perchè non abbiamo delle rovine, delle cose strane? — chiese ironicamente Virginia.

— Non avete rovine! Non cose strane! Ma avete bene la vostra marina e i vostri modi.

— Buona sera, vado a chiedere a mio padre di accordare una settimana di più di vacanze ai miei due fratelli gemelli.

— Vi prego, miss Virginia, non ve ne andate, sono così solo, così infelice.... non so più come tirare avanti; vorrei andare a coricarmi e non lo posso.

— E perchè no? Non avete che a mettervi a letto e spegnere il lume. Spesso è difficile restare svegli, specialmente in chiesa; ma non è difficile affatto dormire.

— Sono trecento anni che non posso dormire!

Questa triste esclamazione fece sgranare i begli occhi celesti di Virginia.

— Sono trecento anni che non dormo e mi sento tanto, tanto stanco! — ripetè il fantasma. Virginia divenne grave e le sue labbra fini si agitarono come petali di rosa. Si avvicinò, s'inginocchiò accanto a lui e ne contemplò la figura vecchia e grinzosa.

— Povero, povero fantasma, — mormorò; — non vi è dunque un posto dove possiate dormire?

— Sì, ma lontano, al di là del bosco di pini, rispose egli con un fil di voce, come in sogno. Vi è un piccolo giardino, dove l'erba cresce alta e rigogliosa; colà si vedono le grandi stelle bianche della cicuta; là l'usignolo canta tutta la notte; tutta la notte canta, e la luna di cristallo opaco guarda, e il salcio stende le sue gigantesche braccia sopra i dormienti.

Gli occhi di Virginia si velarono di lacrime; dovè nascondere la faccia nelle mani.

— Voi intendete parlare del Giardino della Morte, — mormorò essa.

— Sì, della Morte. Deve essere così bello riposare nella molle scura terra, mentre le erbe ondeggiano sulla propria testa e ascoltare il silenzio! Non aver più nè ieri, nè domani; scordare il tempo e la vita; esistere nella pace eterna! Voi potreste aiutarmi, potreste aprirmi, spalancarmi le porte della morte, perchè l'amore vi accompagna sempre; l'amore è più forte della morte.

Virginia tremò; un fremito ghiacciato percorse il suo corpo; per qualche istante regnò nella stanza un profondo silenzio. Le sembrò di fare un terribile sogno.

Allora il fantasma riprese la parola, con una voce che sembrava il sospiro del vento:

— Avete mai letta la vecchia profezia scritta sui vetri della biblioteca?

— Oh! spesso. La conosco a memoria; essa è dipinta con lettere strane, dorate, difficili a leggersi; non sono che sei versi:

«Quando una bionda giovinetta saprà richiamare sulle labbra del peccatore la preghiera; quando il mandorlo sterile fiorirà e un fanciulla piangerà, allora in tutta la casa ritornerà la calma, e la pace rientrerà in Canterville...».

Ma non so che significhi....

— Significa che voi dovete piangere con me sopra i miei peccati, perchè io non ho lacrime; che dovete pregare con me per la mia anima, perchè io non ho fede; e allora, se sarete stata sempre dolce, buona e amorevole, l'angelo della Morte avrà pietà di me.

Voi vedrete esseri terribili nelle tenebre e voci funeste mormoreranno alle vostre orecchie, ma non potranno farvi nessun male, perchè contro la purezza di una fanciulla le potenze dell'inferno nulla possono.

Virginia non rispose e il fantasma si torse le mani nella violenza della sua disperazione, guardando la bionda testa che si inchinava.

Ad un tratto, essa si riaddrizzò, pallidissima e con uno strano luccicchio negli occhi:

— Non ho paura, — disse con voce ferma, — e domanderò all'angelo di aver pietà di voi.

Il fantasma si levò dal suo sedile, mandando un grido di gioia, prese la testa bionda fra le sue mani, con una grazia che ricordava i tempi passati, e la baciò. Le sue dita erano fredde come il ghiaccio e le sue labbra bruciavano come il fuoco; ma Virginia restò forte ed egli le fece traversare la camera scura.

Sulla tappezzeria, di un verde sbiadito, erano ricamati piccoli cacciatori che soffiavano nei loro corni ornati di frangie e con le loro piccole mani le facevano segno di retrocedere.

— Ritorna sui tuoi passi, piccola Virginia. Vattene! vattene! vattene! — gridavano essi.

Ma il fantasma le serrava più forte la mano ed essa chiuse gli occhi per non vederli.

Degli orribili animali, con la coda di lucertola, con gli occhi grossi e sporgenti, ammiccavano dagli angoli del camino e le dicevano a voce bassa:

— Fa attenzione, piccola Virginia! Guardati! Potremmo anche non più rivederti....

Ma il fantasma affrettò il passo e Virginia non diede ascolto.

Quando furono in fondo alla stanza, egli si arrestò e mormorò qualche parola che la fanciulla non comprese.

Riaprì gli occhi e vide il muro svanire lentamente, come nebbia, e aprirsi davanti a lei una nera caverna. Un forte vento ghiacciato l'avvolse ed ella sentì che le tiravano la veste.

— Presto! presto! gridò il fantasma, — o sarà troppo tardi.

Allo stesso tempo, il muro si richiuse dietro di loro e la camera della tappezzeria restò vuota.

VI.
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